La nuova direttiva sul mercato degli strumenti finanziari, la MiFID 2, è in cantiere e dovrebbe entrare in vigore nei prossimi anni, una volta formalizzata a livello europeo e recepita a livello nazionale. Negli scorsi giorni però Edouard Carmignac, presidente dell’omonima casa di gestione, ha pubblicato una lettera aperta indirizzata al vertice di ESMA, l’autorità europea dei mercati e degli strumenti finanziari, scagliandosi contro l’idea che i clienti paghino il distributore di fondi comuni di investimento (la banca o il promotore) solo direttamente e in virtù della consulenza ricevuta, temendo un’espansione della quota di ETF detenuta dai privati.
Questa modifica potrebbe in realtà imporre una rivoluzione a quello che è lo status quo del settore del risparmio gestito in Europa e anche in Italia. A oggi il modello prevalente vuole che se una banca vende un fondo comune di investimento ad un proprio cliente, questi pagherà delle commissioni di gestione annue che saranno trattenute dalla SGR. Una buona parte di queste commissioni viene però retrocessa dalla SGR alla banca (o al promotore), perché questi ha distribuito il prodotto e fornisce un servizio di consulenza continuativo sul portafoglio investimenti del cliente. Chiunque acquisti un fondo comune di investimento da un promotore o allo sportello bancario sta pagando ogni anno per questo servizio di consulenza, ma in pochi tra i clienti lo sanno, e in pochi tra gli intermediari hanno una struttura adeguata (o l’interesse) a fornire un servizio di qualità. Se non si sa per cosa si sta pagando, difficilmente si pretenderà un servizio.
Uno degli obiettivi della MiFID 2 è proprio quello di aumentare la trasparenza sui costi sostenuti e ridurre i conflitti d’interessi, andando proprio a recidere questo legame tra SGR e distributori. Sarebbero invece i clienti a pagare direttamente il collocatore per il servizio di consulenza ricevuto e, separatamente, la SGR per la gestione del fondo. Si introdurrebbe in questo modo la possibilità di scegliere se avvalersi o meno di un servizio di consulenza, e una sostanziale chiarezza sulla struttura dei costi.
I timori espressi dal numero uno di Carmignac sono svariati: dall’incremento dell’uso di ETF, pericolosi in quanto pro-ciclici, alla difficoltà per il risparmiatore di riconoscere una società che faccia una gestione attiva di valore. Purtroppo nessuno di questi due aspetti sembra particolarmente convincente. È vero che gli ETF hanno un andamento fortemente pro-cliclico, dato che si limitano a replicare un indice. Quando la borsa sale, l’ETF sale; quando la borsa scende, l’ETF scende. Un fondo comune con un’efficace gestione attiva dovrebbe invece gestire il rischio in modo dinamico, tutelando il cliente in caso di volatilità sui mercati. Nella pratica però, la gran parte dei fondi comuni venduti come attivi applica uno stile di gestione quasi passivo, mostrando un andamento molto simile a quello di un benchmark. Circa il timore che il cliente non riesca a scegliere il miglior gestore per i propri risparmi, è difficile sostenere che questo accada oggi, con l’attuale sistema distributivo. In un mercato in cui il prodotto, il fondo comune di investimento, non è acquistato ma venduto, il cliente sottoscrive quasi sempre il prodotto che gli viene proposto allo sportello, non necessariamente il migliore sul mercato o quello più adatto alle sue esigenze.
Gli investitori avrebbero diversi benefici da un’applicazione rigorosa della MiFID 2: potrebbero scegliere se pagare o meno per la consulenza e potrebbero valutarne la qualità, potrebbero avere accesso a una gamma molto più ampia di prodotti di quelli che ricadono negli accordi di collocamento della banca evitando forti conflitti di interessi . Questi vantaggi potrebbero essere favoriti anche dall’introduzione della negoziazione in borsa dei fondi comuni, di cui si parla in Italia in questi mesi.
Fanno bene però le società di gestione e i collocatori a preoccuparsi perché questo cambio di normativa pone un’enorme sfida al settore. Con il tempo saranno costretti a uscire dal mercato quei fondi comuni che propongono una finta gestione attiva, e quei collocatori che offrono un servizio di consulenza scadente e di facciata. Insomma, è un’occasione per riavvicinare la finanza al risparmiatore, decisamente da cogliere al volo.
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