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Debito pubblico e conflitto intergenerazionale

Il debito pubblico è una tassa sulle generazioni future e sui giovani di oggi. A beneficiarne sono state invece le fasce più anziane della società, che sono, tra i privati, anche i maggiori detentori di titoli del debito, e quindi percettori di interessi.

di Anna Schwarz - 17 Giugno 2014 - 4'

Il debito pubblico è una tassa sulle generazioni future e sui giovani di oggi. A beneficiarne sono state invece le fasce più anziane della società, che sono, tra i privati, anche i maggiori detentori di titoli del debito, e quindi percettori di interessi.

Il conflitto tra generazioni è intrinseco nel concetto stesso di debito, in quanto questo rappresenta una promessa di pagamento nel futuro, a fronte di un bene o un servizio di cui si usufruisce oggi. Indebitandosi un soggetto sceglie di godere di una prestazione ma ne sposta avanti nel tempo l’onere del pagamento. Nel caso del debito pubblico uno Stato emette titoli e raccoglie capitali con la promessa di restituirli alla data prestabilita e di pagare una cedola annua lungo tutta la durata del prestito. Ricorrendo alla formazione di debito uno Stato può quindi ridurre il proprio fabbisogno di entrate fiscali a parità di spesa pubblica, ossia di beni e servizi forniti.

La creazione di debito pubblico ha sempre un effetto redistributivo, in quanto sposta risorse dai contribuenti futuri a quelli attuali. Questa è la dinamica a cui abbiamo assistito dagli anni Settanta, quando la crescita è stata in buona misura sovvenzionata tramite un’espansione incontrollata del debito pubblico, che ha permesso a noi e alle generazioni precedenti di vivere meglio di quanto il Paese potesse permettersi.

Il conflitto di interessi tra generazioni diverse non si manifesta però solo tra le generazioni attuali e quelle future, quindi tra noi e i nostri figli e nipoti, ma anche tra le attuali fasce più giovani della popolazione e quelle meno giovani, attraverso il canale del pagamento degli interessi. Ogni anno lo Stato dedica un’ingente quota del proprio bilancio al servizio del debito pubblico. Questa cifra nel 2013 ha superato gli 80 miliardi di euro, il 5% del prodotto interno lordo e più di quanto speso in un anno per istruzione e cultura insieme.

Per finanziare questa spesa ricorrente lo Stato deve aumentare le imposte ovvero ridurre i servizi, imponendo, in entrambi i casi, un costo sulla società. Chi beneficia però di questo sacrificio? I detentori di titoli di Stato italiani, quindi, in primo luogo banche domestiche e investitori esteri, che insieme detengono oltre il 60% del debito pubblico, e i privati per una quota di poco superiore al 10%. Tuttavia tra questi ultimi la diffusione è tutt’altro che omogenea tra le diverse fasce della popolazione, il che dà origine alla seconda forma di redistribuzione intergenerazionale. I sottoscrittori privati e residenti del debito pubblico italiano sono soprattutto individui sopra i 55 anni. Tra i nuclei familiari meno giovani, la diffusione di titoli di Stato si attesta sui massimi dell’8/9 percento delle famiglie; dato che scende sensibilmente al diminuire dell’età del capofamiglia.

Il teorema dell’elettore mediano suggerisce che le scelte della politica su uno specifico argomento tendano a convergere sulle preferenze dell’elettore mediano. Il concetto suggerisce quindi che in una società che invecchia, dove quindi aumenta l’età dell’elettore mediano, è normale che prevalgano politiche favorevoli a questo gruppo sociale, anche a discapito degli altri. L’accumulazione del debito pubblico è, come abbiamo osservato, una politica benvista dall’elettore mediano che è nel gruppo sociale più facilmente detentore di titoli di Stato, e quindi percettore di interessi, e inoltre porta meno sulle spalle l’onere del rimborso del debito, a differenza delle fasce più giovani. Questa impostazione non è però più sostenibile.

È necessario introdurre un forte elemento di discontinuità che ci porti ad affrontare il debito pubblico, riducendo il peso che per decenni abbiamo spostato sulle generazioni future. Ridurre il debito significa anche ridurre la dimensione economica del pagamento per interessi, che drena risorse pubbliche distribuendole a pochi gruppi sociali, contribuendo a disegnare una società sempre più frammentata.

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