Sarà la scarsa fiducia nella finanza. Sarà il bisogno di fare maggiore attenzione alle spese, o la mancata consapevolezza circa quelli che sono i propri bisogni finanziari. Fatto sta che i servizi di consulenza finanziaria continuano a essere limitati ad alcuni gruppi sociali, e questo, unito alla scarsa educazione finanziaria, si traduce spesso in scelte di investimento estremamente inefficienti. Ecco come uscirne.
La relazione annuale di Consob, analizzando dei dati di GfK Eurisko, evidenzia come sia aumentato il numero di risparmiatori che investono senza usufruire di un servizio di consulenza, raggiungendo nel 2013 quasi il 38%, con un aumento di 11 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Si è inoltre ridotta, fortunatamente, la percentuale di famiglie che riceve una consulenza passiva, ossia che non hanno ricevuto proposte d’investimento pur avvalendosi di un consulente.
Sembra che il detto fidarsi è bene, non fidarsi è meglio sia particolarmente condiviso quando si tratta della gestione dei propri risparmi, e probabilmente ancora di più dallo scoppio della crisi, un po’ perché i risparmi sono diventati un fattore più scarso, un po’ perché è crollata la fiducia negli intermediari finanziari. I conflitti di interessi che caratterizzano il settore sono effettivamente un forte ostacolo a fidarsi di chi vende servizi di consulenza finanziaria. Come si può essere certi che il consulente che abbiamo di fronte non ci consigli una determinata obbligazione o un determinato fondo comune piuttosto che un altro perché ha un legame particolare con la società emittente o ne ricava un maggiore guadagno? Arrendersi semplicemente a questo timore fondato potrebbe essere una scorciatoia non particolarmente benefica per la corretta gestione degli investimenti. La parola d’ordine nel ricercare i propri interlocutori sui mercati finanziari deve essere indipendenza. Un operatore indipendente garantisce di agire solo nell’interesse di chi lo paga, il proprio cliente, e non in base alla struttura proprietaria, favorendo altre società del gruppo, o a particolari accordi di distribuzione.
La relazione di Consob analizza il ricorso alla consulenza per grado di istruzione e la composizione dei portafogli in base al tipo di servizio ricevuto. Si nota che il ricorso alla consulenza è più diffuso tra la popolazione dei laureati rispetto ai risparmiatori con titoli di studio inferiori. Questa relazione dipende molto probabilmente anche dal fatto che i laureati hanno in media un reddito e una ricchezza più elevati e hanno quindi un maggiore interesse a occuparsi dei propri risparmi, nonché un accesso facilitato a tale servizio, che si è rivolto maggiormente a soggetti con più ampie disponibilità finanziarie.
Vediamo a questo punto se il servizio di consulenza ha un effetto positivo in termini di qualità delle scelte di investimento effettuate. I dati raccolti da GfK Eurisko sembrerebbero suggerire di sì. Tra gli investitori che non ricevono alcun servizio di consulenza solo una quota vicina al 10% detiene in portafoglio strumenti rischiosi, quali azioni, obbligazioni o fondi comuni. La quasi totalità si dirige invece verso i depositi postali e bancari e i titoli di Stato italiani. In un momento in cui i tassi offerti dai conti deposito e dai buoni fruttiferi sono estremamente risicati e i prezzi dei titoli di Stato nazionali sono ai massimi storici, è difficile che un portafoglio così composto sia la scelta migliore in termini di rischio e rendimento, oltre che essere poco diversificato. Se dovesse verificarsi una ripresa dell’inflazione tale portafoglio sarebbe esposto a una potenziale perdita in termini reali, così come se scendessero i prezzi dei BTp si ridurrebbe il valore dell’investimento. I portafogli di investitori che ricevono un servizio di consulenza sono invece più facilmente espositi a prodotti più complessi, partecipano ai rialzi dei mercati azionari nonché hanno un grado di diversificazione maggiore.
Dai dati emerge il fatto che probabilmente un investitore può trarre beneficio da un servizio di consulenza indipendente e competente. Tuttavia ci sono diversi basilari accorgimenti che si possono adottare in autonomia per migliorare la qualità del proprio investimento, anche contenendo le spese. Innanzitutto bisogna diversificare, ossia evitare di essere esposti ad un unico fattore di rischio. Questa operazione si può fare sia acquistando un paniere di prodotti diversi, con andamenti non correlati, operazione per cui sarà probabilmente necessario un servizio di consulenza se non si possiede una competenza specifica e comunque un’ingente dotazione di capitale. In alternativa si può ottenere lo stesso risultato acquistando uno strumento che investe in un portafoglio di titoli, quali un ETF o un fondo comune di investimento. Tra questi in particolare potrebbe essere opportuno non scegliere un prodotto che si concentra su un mercato eccessivamente ristretto, ad esempio un fondo che investe solamente in aziende americane di piccole dimensioni nel settore dei trasporti, ammesso che esista, perché così si sta diversificando rispetto al rischio a livello d’impresa ma non a livello di settore, asset class, paese o valuta. In quest’ottica i fondi comuni a più ampia delega di gestione, come i fondi flessibili o gli azionari o obbligazionari globali, risultano utili, perché l’investitore lascia al gestore la scelta di come comporre il portafoglio, di quali aree o asset class acquistare a seconda della convenienza del momento.
Un altro errore comune che si riscontra tra i risparmiatori più inesperti, ma non solo, è quello di farsi prendere dal panico e vendere quando i prezzi sono scesi, e viceversa comprare quando sono saliti, incorrendo sistematicamente in perdite. Per ovviare a questa situazione è importante darsi un metodo e seguirlo scrupolosamente, anche aiutandosi con alcuni automatismi attivabili, come un piano di accumulo di capitale (PAC) o servizi optional a corredo dei propri investimenti.