Il tema della concorrenza, intesa come libera scelta e possibilità di cogliere le migliori opportunità sul mercato, senza imposizioni da parte dello Stato o vincoli imposti da coalizioni d’imprese, è spesso difficile da affrontare soprattutto nel sistema del risparmio gestito italiano.
Il premio Nobel Milton Friedman, riteneva che ‘la concorrenza del mercato, quando la si lascia funzionare, protegge il consumatore meglio di tutti i meccanismi venuti a sovrapporsi successivamente al mercato’, così però non la pensa la metà delle aziende che si occupano di gestione del risparmio in Italia.
E’ quanto emerge da un’indagine effettuata da Plus 24 in merito al tema della possibile quotazione dei fondi comuni di investimento: un’iniziativa che permetterebbe al mercato del risparmio gestito italiano di fare un grande passo in avanti in termini di efficienza, costi, concorrenza e accessibilità.
L’indagine effettuata da Plus 24 chiedeva un’opinione sul tema alle società di gestione che offrono i loro prodotti ai risparmiatori italiani. In particolare si invitava a offrire un parere favorevole o contrario all’approdo dei fondi comuni a Piazza Affari. Su 90 società intervistate solo 49 hanno espresso il loro parere di cui 45 si sono dette favorevoli, 4 contrarie e ben 41 si sono trincerate dietro un ‘no comment’, affermando o di non aver affrontato il tema con il necessario livello di approfondimento o che è ancora in corso una valutazione al riguardo. Strana risposta su un tema che è sul tavolo dal 2008 e promosso da Consob e Banca d’Italia. Forse, come dicono gli autori di Plus24, ‘a volte una risposta è più esplicita di una domanda’.
Perché, al netto dei vantaggi che questa iniziativa comporta, la metà delle aziende protagoniste del settore del risparmio gestito italiano la osteggiano?
Riassumendo le posizioni e le motivazioni espresse le 45 sgr favorevoli vedono nell’iniziativa una direttrice volta a liberalizzare il settore, favorendo la concorrenza e la competizione e andando ad eliminare le barriere di ingresso al mercato determinate dagli accordi di distribuzione e dai vincoli operativi connessi. Lo scambio delle quote dei fondi comuni in Borsa, inoltre, favorirebbe la trasparenza in quanto la quotazione di classi di prodotti con profili commissionali differenti renderebbe finalmente manifesto quale tipo di servizio il risparmiatore riceve a fronte del livello commissionale pagato. Una maggiore chiarezza sulla struttura dei costi e delle commissioni, aspetto non sempre chiaro per gli investitori in fondi comuni nonostante l’incidenza sul rendimento dell’investimento, è un chiaro vantaggio per i risparmiatori che si troverebbero a operare con maggiore consapevolezza.
C’è chi tra le società favorevoli ha espresso una riserva relativa al rischio di porre troppa enfasi sulle performance dei fondi, ricordando, giustamente, come l’eterogeneità dell’offerta imponga necessariamente il ruolo dei professionisti della consulenza. La riserva è senza dubbio condivisibile, ma non dovrebbe essere intesa come un ostacolo quanto come un’opportunità per tutto il sistema consulenziale. Un mercato aperto dei fondi comuni d’investimento comporterebbe infatti una maggiore centralità alla figura del consulente finanziario che vedrebbe valorizzate al massimo le proprie capacità.
Tutti questi vantaggi non vengono invece visti con favore da chi si è detto contrario all’iniziativa o da chi ha preferito non rispondere. Le quattro società che hanno espresso chiaramente il loro parere, infatti, puntano sul pericolo rappresentato dal ‘fai-da-te’ che potrebbe rivelarsi dannoso e dare adito a politiche di marketing più aggressive con il risultato che i fondi pubblicizzati sarebbero i più scambiati. Una dicotomia tra qualità e notorietà che spesso non va di pari passo nel sistema del risparmio gestito. Secondo questa tesi allora andrebbe chiuso l’acceso ai mercati regolamentati. Perché un risparmiatore può acquistare liberamente un qualsiasi titolo quotato e non può fare altrettanto con un fondo iper-regolato? Il fondo d’investimento di per sè è lo strumento per il risparmio più democratico che esista e non è scontato che debba essere dedicato soltanto a una tipologia di clientela, ovvero quella intermediata.
Letti in questa modo, i risultati dell’inchiesta lascerebbero pensare a un ampio sostegno all’iniziativa. Quello che però non traspare dai numeri è il differente peso sul mercato rappresentato dalle varie posizioni. Andando quindi ad analizzare i dati forniti da Plus 24, si evince che in realtà esiste un sostanziale bilanciamento. I favorevoli all’iniziativa infatti rappresentano il 46,8% delle quote di mercato del risparmio gestito italiano, mentre i contrari rappresentano il 48,7%. Per completezza, all’interno dei favorevoli, bisogna specificare player come Gruppo Generali (27,7%), Pioneer Investments (8,3%) e Poste Italiane (3,6%) che da soli rappresentano il 39,6% del totale, mentre tra i contrari o presunti tali la parte del leone la fa il Gruppo Intesa San Paolo che da sola possiede una quota di mercato del 19,5%.
Esiste dunque un gruppo di protagonisti del mercato molto più omogeneo sul fronte dei contrari e questo richiede una riflessione e delle domande. Perché è così difficile cambiare lo status quo? Cosa hanno da temere le aziende contrarie dalla liberalizzazione del mercato?
Domande a cui i risparmiatori e i clienti meriterebbero risposta, ma che si può solo presumere andando ad esaminare la tipologia delle società contrarie alla quotazione dei fondi comuni.
Nelle 41 società che hanno preferito non esprimersi sul tema e tra le quattro che hanno espresso parere contrario esiste un denominatore comune, la matrice estera. Sono infatti i grandi nomi dell’asset management internazionali a non vedere di buon occhio l’iniziativa. Presumibilmente, perché non c’è dato saperlo con certezza, ciò dipende dal fatto che come primo effetto della quotazione dei fondi comuni di investimento in Borsa si andrebbero a cambiare radicalmente i modelli e i canali distributivi dei prodotti. Ed è proprio nel mantenimento dello status quo di questa struttura che va cercato il fondamento delle posizioni contrarie. Poco importa se la compravendita dei fondi a Piazza Affari aiuterà a far emergere il valore del gestore e dell’intermediario nella sua funzione di assistenza al cliente, visto che ormai la quota di mercato è già stata acquisita. Meglio continuare a difendere le barriere di ingresso al mercato della distribuzione, piuttosto che rischiare la competizione.
Tutto questo ostracismo, però, e per fortuna, ha i giorni contati. La strada è ormai tracciata e prima o dopo una riflessione strategica sulla questione dei canali di distribuzione andrà fatta. Non solo per valorizzare il risparmio in tutte le sue forme, come scritto nella Costituzione, ma anche e soprattutto perché lo impone la Mifid2 che dal 2016 verrà applicata.
Auspichiamo dunque che le istituzioni in causa portino presto a compimento quello che giudichiamo una conquista fondamentale per lo sviluppo dell’industria del risparmio gestito e per la Finanza, che deve tornare a essere un bene comune, volto al soddisfacimento degli obiettivi delle famiglie e delle comunità.
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