Nel corso degli ultimi sei anni, per contrastare gli effetti della crisi, le banche centrali hanno immesso 22mila miliardi di euro sui mercati finanziari – di cui 2mila miliardi nel 2013. Questa iniezione di liquidità sta facendo crollare indistintamente i rendimenti di strumenti a basso ed alto rischio. Molti gestori, alla ricerca di rendimenti appetibili, alzano l’asticella del rischio tollerato dimenticando di analizzare i fondamentali. Non investiamo alla cieca!
Warren Buffet, guru della finanza sostiene che: “Le obbligazioni ora sono un terribile investimento e la gente perderà un mucchio di denaro”. Negli ultimi anni ed in particolare durante gli ultimi mesi, l’aumento smisurato della base monetaria (22mila miliardi di euro in 6 anni) ha spinto i tassi al ribasso e, di conseguenza, gli investitori a cercare rendimenti maggiori senza tanto tener conto dei rischi impliciti. Ma, come ha sottolineato Giuseppe Vegas, Presidente della Consob: “Le iniezioni di liquidità non rappresentano per sé soluzioni sufficienti e di lungo periodo. La risposta va trovata agendo direttamente nell’economia reale”. Senza creare allarmismi di bolla speculativa, ricordiamoci che alcuni investimenti, basati sul valore reale sottostante possono essere comunque profittevoli.
Cerchiamo di capire meglio cosa sta succedendo.
Per far ripartire i motori dell’economia, le banche centrali (in ordine di intervento la FED-americana, la BOE-inglese, la SCB-svizzera, la BOJ-giapponese, la BCE-europea), hanno iniziato manovre di quantatitive easing. Le banche centrali hanno cioè acquistato strumenti finanziari (titoli ed in alcuni casi azioni) dagli altri operatori del sistema e, per farlo, hanno pagato stampando moneta. Questo ha generato una pioggia di soldi che è passata dalle banche centrali agli investitori che, a loro volta, non sapevano più dove investire.
Gli investitori, che prima compravano titoli percepiti come sicuri, vedono oggi i rendimenti diventare sempre più bassi – in alcuni casi (Treasuries USA, Bund DE) i rendimenti non coprono nemmeno più l’inflazione. Bank of America stima che circa 20mila miliardi di dollari di titoli governativi (circa un quinto di tutte le obbligazioni al mondo) offrano rendimenti inferiori all’1%. Gli investitori quindi, a caccia di rendimenti più interessanti, hanno alzato l’asticella del rischio tollerabile per evitare di soccombere al tasso zero – hanno cioè iniziato ad acquistare titoli più rischiosi.
Con tassi troppo bassi per i prodotti sicuri, la domanda si è riversata su prodotti finanziari che non sono coerenti con i fondamentali economici dei sottostanti. E così ad esempio, il Ruanda, paese non certo rinomato per le sue finanze pubbliche, ha emesso quasi 4 miliardi di dollari di obbligazioni pagando un tasso del 6,8% – quello che pagava l’Italia circa un anno fa per i BTP.
Il tasso di interesse dei titoli di Stato (o di un’obbligazione corporate) dovrebbe riflettere quattro elementi:
1 – un tasso a breve termine praticamente privo di rischio
2 – un premio per la scadenza (più distante la scadenza maggiore il rischio associato)
3 – un premio per il rischio di credito (cioè la probabilità di default o fallimento)
4 – un premio per la liquidità del titolo
La regola di base insomma è questa: più alto il rischio, maggiore il rendimento. Ma facciamo attenzione perché, in questo contesto di abbassamento generalizzato dei rendimenti e dei tassi, potrebbe sembrare che tutte le obbligazioni siano meno rischiose mentre l’effetto è dovuto ad un aggiustamento dei tassi per effetto delle manovre delle banche centrali.
Riassumendo quindi, ricordiamoci che le aziende e gli Stati hanno delle valorizzazioni sottostanti reali. Se non siamo in grado di analizzarli noi stessi cerchiamo dei gestori che operino in modo trasparente basandosi sui fondamentali durevoli nel lungo periodo e non sull’euforia momentanea del mercato. Non paghiamo la spazzatura a peso d’oro!
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