Per te, ogni due settimane, una selezione dei migliori articoli del blog.
L’innovazione finanziaria – la creazione di nuovi prodotti e servizi finanziari - può essere usata dagli intermediari per estrarre rendite dal risparmiatore senza dargli in cambio niente di sostanziale (è quello che spesso avviene con la creazione di prodotti complessi) oppure per offrire un servizio o un prodotto che soddisfi un’esigenza sentita o risolva un problema per il risparmiatore.
Una sentenza del Tribunale di Milano ha imposto la sospensione di UberPop. In molti hanno visto nella vicenda il tentativo di difendere lo status quo da un’innovazione che evidentemente rischia di ridisegnare gli equilibri attuali.
È tempo di pagelle, anche per i fondi comuni di investimento. I risultati ottenuti dai fondi disponibili ai risparmiatori italiani sono però sconfortanti, migliori solo di quelli registrati dalla Cina, che risulta il paese peggiore per un investitore in fondi comuni.
I migliori risultati da un investimento si ottengono su un orizzonte temporale medio lungo. Difficilmente però i fondi forniscono benefici tangibili per aiutare i risparmiatori a tenere il comportamento corretto. Ecco da un recente articolo sul Wall Street Journal una proposta interessante.
Oltre 36 milioni di italiani ritengono che la ripresa sia lontana o potrebbe addirittura non arrivare, e domina un sentimento di sfiducia sul futuro. La risposta delle famiglie italiane in termini di scelte finanziarie è stata l’accumulazione di contante e depositi bancari a breve termine. Un approccio che può facilmente rivelarsi controproducente.
Non è un caso che l’apertura delle considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia di quest’anno sia dedicata ai mutamenti istituzionali avvenuti in Europa e segnatamente al nuovo disegno della vigilanza bancaria, con molte competenze passate ad autorità sovranazionali, e un nuovo meccanismo di gestione delle crisi bancarie.
Fondi comuni, clienti beffati. Questo il titolo di un recente articolo pubblicato dal settimanale L’Espresso sul tema delle commissioni di performance. Emerge che queste commissioni rappresentano buona parte degli utili di diverse grandi società di gestione italiane, ma non sempre sono applicate in maniera coerente con l’obiettivo. Ecco cosa sono, come funzionano e in quali casi sono un costo ingiusto sulle spalle dei risparmiatori.
Pochi giorni fa ho ricevuto la pubblicità di una nuova tipologia di prodotti derivati, confezionati apposta per un pubblico retail, da parte della mia banca online. I derivati somigliano sempre un po’ ai giochi d’azzardo e questo dipende dalle proprietà stocastiche delle variabili finanziarie sottostanti. Ma in questo caso la componente di azzardo è assolutamente preponderante. Come vedremo, siamo di fronte alla versione ultra-tecnologica di “capita aut navia“, volgarmente … “testa o croce”.
Potrebbe sembrare il solito tema ostico e riservato agli addetti ai lavori ma, purtroppo, quello delle commissioni di collocamento riguarda molto da vicino la gran parte dei risparmiatori che negli ultimi anni hanno acquistato fondi comuni di investimento. Sono infatti l’ultima grande passione di parte dell’industria italiana del risparmio gestito e sono previste da quasi tutti i fondi maggiormente venduti (e non è un caso). Vale la pena provare a capire cosa sono, e soprattutto perché andrebbero evitate accuratamente.
Una delle prime manovre del governo Renzi è stata quella di alzare l’aliquota sulle cosiddette rendite finanziarie dal 20 al 26%. Se il principio che ha ispirato la manovra era condivisibile, la sua messa in pratica è stata, per colpa o per leggerezza, approssimativa, lasciando dietro di sé diverse distorsioni e dando origine ad effetti collaterali forse imprevisti.