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Il 1* luglio 2014 segna un nuovo spartiacque nel mondo del risparmio italiano. In ottemperanza degli artt. 3-4 della Decreto Legge 24 aprile 2014 n.66 la tassazione sul risparmio subisce un corposo, seppur relativo, aumento con l’aliquota applicata che passerà dal 20% al 26%. Cosa cambia per gli investitori italiani e quali sono le opzioni a disposizione per non subire passivamente l’ennesima scure sul risparmio delle famiglie?
Il debito pubblico è una tassa sulle generazioni future e sui giovani di oggi. A beneficiarne sono state invece le fasce più anziane della società, che sono, tra i privati, anche i maggiori detentori di titoli del debito, e quindi percettori di interessi.
Le decisioni negli investimenti possono sembrare difficili, e si tende a credere a tutto ciò che ci viene consigliato. A volte, però, basterebbero dei piccoli accorgimenti per non essere prede di offerte poco trasparenti. Per non rischiare di seguire mode passeggere e lasciarsi trasportare dall’emotività, ecco qualche piccolo consiglio per aumentare la consapevolezza negli investimenti dell’economista Marco Onado.
Nell’immaginario collettivo BOT e BTp rappresentano lo strumento finanziario acquistato principalmente dalle famiglie italiane, che ne apprezzano la percepita sicurezza e la semplicità e subiscono inoltre un sentimento nazionalpopolare che fa propendere la scelta verso il titolo pubblico di casa propria. Insomma, il Buon vecchio BTp rappresenta per molti l’investimento preferito della casalinga di Voghera. I dati suggeriscono però che questo non sia più vero, con importanti conseguenze in termini di scelte politiche.
La pensione? E chi la vedrà mai? È questa la risposta che più frequentemente si ottiene toccando il tema, soprattutto parlando con i lavoratori più giovani. Questa brutale constatazione è purtroppo fondata, in quanto la dinamica demografica mette sempre più sotto pressione il sistema pensionistico, ma la conseguenza di questa riflessione è spesso sbagliata perché in molti finiscono per disinteressarsi della propria pensione anziché affrontare la situazione in altro modo.
Tanto corriamo, facciamo, sudiamo, che il debito pubblico rimane sempre lì. Anzi aumenta. Ogni anno il governo si esprime sull’andamento futuro del rapporto debito/PIL, ma le previsioni vengono continuamente infrante al rialzo, come testimonia il grafico sottostante, in cui sono rappresentate le stime dell’indicatore secondo i diversi Documenti di Economia e Finanza emanati negli ultimi anni.
Vecchia, povera, in difficoltà nell’agganciare la ripresa e incapace di offrire prospettive future ai giovani. Questa è l’Italia fotografata dal rapporto annuale dell’Istat. Un paese ancora alle prese con la crisi, nonostante si sia distinto come alunno diligente nello svolgere i compiti a casa nel riordino dei conti pubblici. Un’immagine che deve far riflettere sulle priorità politiche ed economiche del Paese anche, se non soprattutto, alla luce dei risultati delle ultime elezioni europee.
Con il rapporto tra debito pubblico e PIL che nel 2014 supererà il 135%, qualsiasi stratagemma di natura contabile è il benvenuto, se fa scendere la misura del nostro indebitamento. E così la decisione di Eurostat di includere nella contabilità nazionale dei paesi europei le stime di alcune attività criminali, per quanto abbia destato lo stupore, lo sdegno o l’ironia di diversi commentatori, si potrebbe rivelare un aiutino provvidenziale per i conti pubblici.
A giudicare dalla quantità di manifesti elettorali di forze partitiche anche molto diverse tra loro e dal rumore prodotto su internet e sui social network sembra che chi fa della lotta contro l’euro la prima delle battaglie e il fulcro della campagna elettorale stia dando voce alla maggioranza degli italiani. Non è così.
I redditi sono fermi, la disoccupazione sempre più elevata e la disuguaglianza ha raggiunto livelli preoccupanti. Di questo scenario di profondo disagio economico e, prima ancora, sociale, in molti identificano uno dei principali responsabili nella moneta unica e una conseguente soluzione: uscire dall'euro.