Per te, ogni due settimane, una selezione dei migliori articoli del blog.
La competitività italiana resta ferma al palo. Questo l’amaro verdetto espresso dal Global Competitiveness Report 2014-2015 elaborato dal World Economic Forum. Il Bel Paese conferma il 49* posto sui 144 Paesi presi in esame dal report e si vede superata rispetto allo scorso anno da Lettonia (42*) e Portogallo (36*). Meglio di noi Paesi come Panama, Mauritius, Oman, Bahrain e Azerbaijan.
L’ammontare del debito pubblico italiano è alle stelle, l’economia è in recessione e ad agosto il Paese è entrato in deflazione mostrando gli effetti di un preoccupante calo della domanda e dei consumi. Tutti segnali di un’economia ormai allo stremo che attende (ancora) azioni risolutive dalla politica. Eppure in questa situazione non mancano i paradossi.
Negli ultimi è progressivamente cresciuto il peso di prodotti di investimento nei portafogli della clientela al dettaglio (retail) prima, di fatto, riservati solo a clienti istituzionali o professionali. Il cosiddetto processo di retailisation ha condotto a un cambiamento profondo nella creazione e distribuzione di prodotti finanziari connotati da profili di complessità, comportando, di conseguenza, una maggiore attenzione da parte delle autorità di vigilanza dei sistemi finanziari.
I Buoni Fruttiferi Postali sono, nell’immaginario collettivo, associati all’idea di semplicità e convenienza. Questa immagine rassicurante dei Buoni Fruttiferi Postali ha dato origine a diversi prodotti bancari con nomi e caratteristiche che in qualche modo richiamano il caro vecchio buono fruttifero. Ma sono vantaggiosi? Vediamo come questi prodotti reggono il confronto con l’inflazione e con i titoli di stato.
Negli ultimi anni sono sempre più le voci che si levano contro i politici e in particolar modo contro i loro stipendi. Una soluzione tuttavia al malcontento verso la politica potrebbe passare proprio da un aumento di questi stipendi. Più in generale, vale la pena farsi una domanda: il problema è che i politici guadagnano troppo o che fanno male il loro lavoro?
Non cresciamo. Gli ultimi dati rivelati dall’ISTAT indicano che l’Italia è entrata in recessione, ancora una volta, avendo registrato due trimestri consecutivi di contrazione del PIL.
Quando investire? E se poi si perde? Qual è il prodotto migliore? È il caso invece di vendere? Quando si tratta della gestione dei propri risparmi, sono molti i dubbi che affollano la mente degli investitori.
L’Italia lazzarona batte la Germania e molti altri stati europei, e proprio sul loro campo da gioco: quello delle finanze pubbliche. Ebbene sì.
La spending review, come viene chiamata la revisione della spesa pubblica, si era posta degli obiettivi sacrosanti. Oggi sembra che l’ennesimo esperto chiamato dal governo per fare lo sporco lavoro stia gettando la spugna.
Dal generico risparmio precauzionale e a quello destinato al vecchio e caro mattone, la principale motivazione che spinge gli italiani ad accantonare risorse è il sostegno ai figli e, molto spesso, ai nipoti. Lasciar loro un’eredità, pagarne l’istruzione o progettare una base economica per i loro primi anni di vita autonoma hanno messo da parte le esigenze di garantire una vecchiaia serena o far fronte a imprevisti.